domenica 26 aprile 2015

Risvegliando sogni

Sembra un sogno, eppure ero io la ragazza che accettò di trasferirsi a Taranto per lavoro, senza neppure aver idea di dove accidenti fosse situata. Controllai precipitosa la cartina geografica e mi vennero le vertigini: la città mi "aspettava" a ben novecentodiecichilometri... Urrà?!
Lo annunciai ai miei genitori, i quali accolsero la notizia con laconico scetticismo - credo rievocando l'esito negativo delle mie antecedenti esperienze consimili - cionondimeno mi salutarono sabato sera col loro beneplacito. Abbracciai i miei veri amici, buttai in una valigia il mio cuore spezzato e mi strinsi in un sogno, quello di ricominciare. A sorridere, soprattutto.
Tredici ore di viaggio nella mente e nel sonno squassato dalle strade irregolari, ma scivolarono. Venni sorpresa insieme agli altri passeggeri dall'alba, che risveglia sempre lo stupore negli occhi e quella bambina nell'anima...
Appena scesi dal pullman nella terra di Taranto, mi godetti sin dai primi istanti la feerica atmosfera di serenità, attribuita, forse, dal mare ma anche dalla dolcezza con cui il mio sguardo carezzava ogni cosa.
Per festeggiare l'inizio della mia avventura, accesi una sigaretta con speranza, ingranando l'entusiasmo e la fantasia. Ma... dopo trenta,quaranta minuti, non si presentò ancora nessuno.
Temetti si fosse trattato di un bello scherzo e invece il mio datore di lavoro arrivò nella sua Land Rover con solo qualche innocuo minuto di ritardo dall'orario prestabilito. Sono sempre stata un'irremovibile ottimista, ma quando devo affrontare viaggi all'incognita da sola, una bazzecola è sufficiente a farmi smaniare dalla tentazione di chiamare le forze armate!!!
In auto, tesa alla conoscenza sorse una chiacchiera dopo l'altra, tra cui attraversammo la Città Vecchia e il ponte girevole, mi accompagnò a visitare il posto di lavoro e poi svoltammo in una traversa, fino a pervenire nella via di quella che sarebbe stata nei cinque mesi seguenti la mia dimora, troppo, troppo grande per una come la sottoscritta che ama trascorrere gran parte del proprio tempo libero in una stanza da letto, anzi, a dirla tutta solo nel letto. Eh sì, per leggere, scrivere, navigare dal portatile, ma più di tutto sognare un futuro dovizioso di progetti realizzati e felicità...
Però quella casa dopo due o tre giorni era diventata troppo silenziosa anche per leggere, quindi una parte del mio acconto settimanale la investii in un sintonizzatore.
...Prima spesa da considerarsi azzeccata!
La simpatica radiolina aveva restituito un'anima a quel maestoso e sconsolato appartamento, dedicando una melodia ai miei risvegli sonnacchiosi. Divenne un istinto premere il pulsante "On" per ritrovarmi fra le sollazzevoli discettazioni dei conduttori, che coloravano il mio stato d'animo con il loro umorismo e mi tenevano compagnia sotto la doccia in quelle poche pause della giornata, rendendosi un squisito contorno dei pasti oziosamente consumati a letto tra quelle mura solinghe, ma ad essere sincera, ultimamente neppure nel regno di Morfeo lasciavo mi abbandonassero...!
La musica accantonava il languore dei pensieri, era la terapia che col passare delle settimane mi faceva svegliare sempre meno demoralizzata: lo vedevo riflesso nella specchiera davanti al letto, grazie alla quale dopo tanti anni ho scoperto d'osservarmi con occhi diversi, meno distruttivi, ritrovando tenerezza per quel visino triste che finì d'estraniare anche il giudizio più doloroso al mondo... il mio.
Ci fu una specie di resa psichica all'immagine vulnerabile di questa mia parte sottovalutata, profondamente umana.
Gli orari lavorativi, in cambio, facevano ritrovare rapidamente l'ironia... Tanta fatica in puro spirito!
Vecchi ricordi si perdevano nella città, sensuali, frastornati... tra la gente ed i loro gioviali sorrisi, le loro vite che s'intrecciavano per un istante con il mio cammino. Ricordi che si scioglievano nel calore di un Ginseng cremoso ordinato al mio bar preferito. Ricordi di cui il mio cuore trovava consolazione in libri che finalmente potevo permettermi a regalarmi.
Anche perché la scritta di cui m'ero accorta in quella prima mattina sul muro vicino casa "Resti la cosa più bella", visibile oltre le grate della mia finestra, mi aveva ricordato quanto fossi prigioniera del mio passato e dei miei sentimenti. Ma avevo me stessa, avevo i miei sogni e la poesia, un mezzo tramite il quale da adolescente scoprii possibile dar libertà al mio cuore.
Dormire nuda, piangere liberamente, lasciare con serenità il diario segreto dovunque. Cenare a mezzanotte, emozionarmi per un gesto carino.
Attraversare il centro alla sera con lo sguardo ebbro di bellezza, diretta al dovere. Misurarmi nelle sfide quotidiane di una professione tutt'altro che facile: stremante, esasperante, ma anche generosa di gratificazioni. La sensazione di libertà sconfinata che mi avvolgeva dopo la mezzanotte di domenica sera, allo scoccare del mio giorno libero.
Scrivere senza interferenze se non d'orario, cullata dall'armonia rigenerante che mi ero guadagnata con tanto sudore.
Proteggere me stessa come una mamma, conscia per la prima volta d'essere sola... Nessuno a salvarmi, nessuno a incoraggiarmi.
Ammetto che isolarmi fu una scelta intima quanto illogica. In una solitudine cieca e impenetrabile, in un silenzio aberrante e, me ne accorgo ora, malsano.
Nel mio groviglio cronico di pensieri, un digiuno rassicurante dalle emozioni - o almeno, quella era la suggestione - nella speranza astratta di macerare il mio sentimentalismo.
Di contro, ho capito che crescere è l'ibrida unione della testa e del cuore, e solo grazie a quest'esperienza dalle sfumature infinitamente cangianti che la vita non offuscherà mai.
Non ho quasi mai creduto di meritarmi realmente il divertimento come tutti i miei coetanei, mortificata dall'eloquio becero con me stessa che mimetizzavo nella parvenza di uno spensierato sorriso.
È stato un episodio fondamentale che ha segnato la mia concezione della vita e la visione della mia persona, consentendomi d'emanciparmi da una crisi interiore.
Penso spesso anche alle creature che ho avuto la fortuna di conoscere, perché la loro magnanimità ha dimostrato che è il bene a rendere migliore un animo, non l'infierire su esso con ogni scusa.
L'allegria contagiosa, l'aria di festa che ogni mercoledì notte arrivava a noi dalla Città Vecchia e sembrava un invito quasi irresistibile. E, una volta tanto, al termine della giornata estiva, adunarsi con i colleghi al tavolino del "nostro" chiosco per goderci una birra rinfrescante sul lungomare, perché anche se erano le due del mattino sapevamo quanto benefici fossero quei trenta o quaranta minuti di relax e meritate risate.
Son tutte cose che vibrano tutt'ora nella mia anima e la illuminano come quelle inobliabili ore primaverili ai Giardini del Peripato, facendomi sognare esattamente come fossi sulla Rotonda del Lungomare, affascinata dal clima di affabilità, innamorata persa della città trasecolare che mi ha guarito nel profondo facendo rifiorire la luce della speranza, e insieme a lei, il mio sorriso.

by Alka